Gli attori del nuovo thriller italiano, che interpretano rispettivamente Alex e il Dottor Petrov, si raccontano
D: Ciao Alessandro, Ciao Claudio, bentrovati! Per rompere il ghiaccio vi chiediamo subito 3 aggettivi che descrivano i vostri personaggi.
A: Alex è sicuramente coraggioso, tenace e malinconico.
C: Io definirei il Dottor Petrov come solitario, appassionato e burbero
D: Chi sono i vostri personaggi?
A: Alex è un ragazzo normalissimo di 21 anni. Vive da sempre con la madre in un piccolo paesino disperso tra le montagne del Nord Italia. Dopo le superiori, si ritrova con dei dubbi esistenziali che pervadono la sua testa, dubbi che, come giusto che sia, sono frequenti in certi tipi di persone a quell’età. Ma è comunque un ragazzo che, nonostante quella parte filosofica esistenziale, riesce a stare bene nella sua dimensione, fatta di amicizia e i rapporti umani, coltivandoli con il suo lato migliore: spesso è pronto a rinunciare anche all’amore più puro per raggiungere le proprie verità, anche a costo di cadere nei loop più scuri e profondi.
C: Petrov, invece, è un medico/studioso di psichiatria, in particolare dell’ipnosi regressiva. È in pensione da tempo e si dedica alla scrittura di libri sulle sue esperienze mediche.
D: Qual è il tratto che più vi ha affascinato dei vostri personaggi?
A: Sicuramente il lato più scuro, più dannato, di Alex, in contrasto con il sorriso e la voglia di un futuro. Mi ci sono rispecchiato per certi versi.
C: La forza di volontà è sicuramente la caratteristica predominante del dott. Petrov, è la forza che lo spinge oltre i pericoli.
D: Com’è stato girare in pandemia? Si è creato un bel clima tra di voi?
A: Girare in pandemia è stata quasi una benedizione. Io non amo le regole, non amo le imposizioni, per me è stato davvero duro rinunciare alla mia libertà. Quindi, come potete immaginare, avrei potuto rischiare di finire in un loop molto profondo e oscuro, un po’ come quello di Alex citato sopra. La possibilità di lavorare alla serie, però, sia da casa che poi dal vivo, senza giochi di parole, mi ha reso vivo di nuovo. Tra di noi si è creato assolutamente un bel rapporto. Eravamo tutte persone che, per un motivo o per l’altro, credevano moltissimo nel progetto, di conseguenza non poteva che nascere una famiglia. Mi ricordo che in quel periodo, spesso, quando le acque erano più calme e si poteva tornare nei locali, ci incontravamo anche fuori dal set, solo per bere qualcosa insieme e comunque l’argomento principale era sempre la serie, c’era una bell’energia. Il disagio di non potere vivere di rapporti umani ci ha aiutato sicuramente a creare dei rapporti veri all’interno del film: molto semplicemente, quello che noi non potevamo vivere fuori lo facevamo vivere ai nostri personaggi, ma penso che questo sia un po’ la base della recitazione. Vivere.
C: Girare durante la pandemia è stato molto stressante: la paura di ammalarsi o contagiare era nei pensieri quotidiani. Con la troupe è nato il cosiddetto “spirito di gruppo”, abbiamo affrontato i pensieri negativi e le situazioni sociali, rispettando sempre i protocolli.
D: Qual è stata la scena più difficile da girare?
A: Di scene difficili ne ho avute molte, alle quali ho lavorato per tanto tempo. Quella che sicuramente è stata più distruttiva ma, allo stesso tempo, gratificante per me, è quando durante un flashback dell’ipnosi si vede Alex trovare qualcosa all’interno del capanno. In quel momento il ragazzo lancia un urlo terrificante e la MDP svela che non ha più gli occhi: per realizzare quella scena mi hanno dovuto coprire gli occhi con delle protesi in silicone, con le quali ovviamente non vedevo niente. Sono rimasto con gli occhi “bendati” per molte ore, senza la possibilità di toglierle. Nella scena dovevo ricreare un disagio enorme per arrivare a comunicare tutto il malessere da far captare solo tramite le frequenze sonore dell’urlo. Per farlo, ci sono arrivato dopo dei training dove andavo a ricreare dentro di me le peggiori sensazioni derivate da forti dolori emotivi. Ero vestito invernale, dentro ad uno studio fotografico e le luci puntate, quindi il caldo e il l’emotività mi hanno messo a dura prova a livello fisico e mentale, e ho avuto un attico di panico. Sono stati tutti molto professionali a soccorrermi. Morale: finito l’attacco di panico, veramente pesante, ho rivisto la scena ed era una figata.
C: La scena più complicata e difficile sotto ogni punto di vista è stata quella della barca, girare di notte su un lago di montagna in pieno autunno è davvero impegnativo.
D: Siete amanti del genere thriller/horror?
A: Sono un amante del genere thriller e un discreto fruitore del mondo Horror. Quando si mischiano i due generi, e si inserisce anche una componente ironica, si crea letteralmente il mio genere preferito. Quindi, 3.33 è sicuramente un tipo di prodotto che mi piace.
C: Sì, ho sempre amato il genere dove la suspense fa da padrona, anche con una venatura horror. Non a caso, i miei vent’anni li ho vissuti con “Profondo rosso” e “Psyco”.
D: Che consiglio dareste al vostro personaggio?
A: Di tagliarsi i capelli. Ovviamente scherzo, il consiglio che gli darei è quello di continuare cosi, di non smettere mai di lottare per quello che si vuole. Anche se a volte è meglio non addentrarsi in luoghi oscuri quando si è perseguitati da un numero così inquietante (ride, ndr). Sì, questo è il vero consiglio che gli darei.
C: Un consiglio al dottor Petrov è di cambiare paese perché Trialba è davvero un paese indemoniato.
D: Come definireste 3.33 con una parola e cosa si devono aspettare i nostri spettatori da questa serie tv?
A: Per descrivere 3.33 non basterebbe una parola, ma penso che quella più giusta sia “figata”, racchiude tutto. Le persone che lo guardano si possono aspettare sicuramente dei bei momenti all’insegna del mistero.
C: 3.33 è la paura. Lo spettatore si deve aspettare di voler a tutti i costi scoprire la verità (che è anche quello che fa il Dottor Petrov) e che questo porterà a una provare paura e una certa tensione!
Crossing Lines è disponibile su Serially gratuitamente e senza interruzioni!